I PentriStoria di un rapporto dolce e amaro
Dire che i Pentri costituiscono una delle famiglie sannite non
individua la particolarità di questo popolo. Dire invece che i Pentri sono le
genti che più di altre determinano l'etnia sannita spiega più specificatamente
l'importanza dell'etimo. Pentro indica il sommo, il più alto, il più grande
(nel senso dell'altezza). Il termine è chiaramente legato all'eponimo pen,
originariamente osco, ma che si ritrova in tutto il gruppo italico (sabino-sabellico-sannita
e poi piceno e lucano) e nel celtico, divenendo quindi un calco semantico
indoeuropeo. Nel vocabolario indoeuropeo indica sempre la sommità e il luogo più
alto. In tal senso indica la vetta e la sommità del Matese, l'antico Tifernus:
pentro, dunque, è colui che abita nel Matese, anzi sul Matese. Poiché è
impensabile che mai alcuno abbia abitato sul punto più alto del Matese, il
termine denomina semplicemente colui che vive lungo la dorsale del Matese. Il
sabino che entra in questa terra diventa, si fa Pentro, ma non lo era prima. La
gente sannitica si identifica quindi con il territorio che la ospita e con la
montagna, che diventa in tal modo il suo sacrario. È questa terra e non
un'altra che qualifica la gente sabino-sannita, che chiamiamo perciò Pentra. Si
è Pentri, perché si vive in questa terra e non in un'altra. Ed è alle pendici
del Matese -secondo le fonti che vanno da Festo a Diacono- che i Sabini, guidati
da Cominus Castronuis, diventano sanniti, prendendo il nome dal Collis
Samnium (oppure da Sabini/Safini, mutano il loro nome in Samnites,
dando quindi il nome al Collis). |
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Il legame fra i Sanniti e il Matese,
inteso come segno di connessione inscindibile con il territorio occupato, è
confermato dal testo liviano che chiama i Sanniti montani et agrestes,
gente di montagna e contadini. I Sanniti sono gente di montagna e si riconoscono
in un centro di montagna. La Maiella per i Carecini; i monti Irpini, per la
gente omonima; il monte Tiburno per i Caudini e il Tiferno, l'attuale Matese,
per i Pentri. L'eponimo pentro, come gente che vive sulla montagna, cioè sul
Tiferno, non solo continua il calco semantico pen di appenninico e di
"alpi" pennine, ma è un elemento aggiuntivo di grande rilievo per
individuare, nell'attuale Boiano l'antica Bovianum vetus delle fonti
classiche, la capitale dei Sanniti, che nasce sotto la Montagna, che dalla
Montagna viene difesa e protetta e che, nel contempo, difende la sua Vetta
Sacra. Ha avuto il termine Pentro un valore etico oltre che etnico-antropologico?
La risposta non può che essere affermativa se pensiamo alla lunga storia di
questa gente così fiera e superba, ma soprattutto così poco malleabile alla
spada romana. Allora dire Pentri vuol dire parlare di genti che ritenevano se
stesse le migliori, superiori ad altre, perché le più consapevoli della
propria storia. Si crea cioè un nesso inscindibile fra il territorio e
l'etnico, fatto non inusuale nella storia della colonizzazione antica, ma che
per questa gente assume un valore tutto particolare perché la unisce alla
montagna, al Tifernum, la Montagna Sacra dei Sanniti Pentri. La terra che
ospita questa gente proveniente dalla Sabina, che la qualifica in modo nuovo
chiamandola Pentri, distinti dai Frentani e dai Carecini. I Pentri abitano lungo
il Matese, e non altri. E sono i Pentri matesini di entrambi i versanti della
montagna i protagonisti principali della storia sannita. Essi si identificano
con tutto il Sannio antico, anche se in parte si ritrovano anche in Abruzzo,
nella valle del Sangro (Opi, Alfedena, Castel di Sangro, Roccacinquemiglia), e a
sinistra del Trigno, a nord e a nord ovest di Trivento (Schiavi d'Abruzzo). Ma
se la specificità del nome Pentro è legata alla terra che ha ospitato il
sabino, è a questa terra che bisogna spostare lo sguardo e, in particolare,
alla montagna da cui l'etimo ha preso il nome. Intorno a questo massiccio
calcareo, allungato in forma di quadrilatero e circoscritto dai quattro fiumi,
Volturno (a ovest), Calore (a sud), Tammaro (a est), e Biferno (a nord est), si
è svolta la storia della gente sabino-sannita, poi Pentra: essi crearono
comunità sui ripidi pendii che scendono verso le valli dei fiumi che circondano
il monte, posero roccaforti all'interno delle conche accidentate da
avvallamenti; pervennero, infine, alle groppe di alture elevate fino a 2050
metri con il monte Miletto. E ciò avvenne su entrambi i versanti, su quello di
Boiano e su quello di Telesio, quasi che la gente sannita volesse difendere il
suo monte e dal suo monte volesse essere difesa. Alla punta del quadrilatero,
nell'estremità nord del massiccio, nella valle in cui il Matese si affaccia
ergendosi da un lato dirimpettaio delle Mainarde (dove nasconde il borgo antico
di Sant'Agapito), dall'altro frontalmente, con la catena montuosa che nei suoi
contrafforti espone Miranda e Pesche, lì plana Isernia. Il ricordo va al primo
insediamento dell'uomo, 730.000 anni fa, il più antico giacimento umano
europeo. Una continuità ideale unisce quella presenza dell'homo erectus d'Europa
alla gente sannita. Se il vocabolo pentro sta ad indicare un eponimo legato alla
montagna che protegge i suoi abitanti e da cui viene protetta, e se il nome
pentro ha anche valore geografico, allora Pentro è il nome del primo abitante
europeo che venne a insediarsi nell'estremo nord del Massiccio del Matese, lungo
la valle ove sorge Isernia. E Isernia, questo centro urbano la cui memoria
storica risale a un'epoca così lontana, diventa anche il punto d'incontro delle
civiltà locali, tutte montane: coperta e protetta da un arco di monti che dalle
Mainarde e dai territori di Scapoli arrivano fino a quelli che permettono il
passaggio ai territori di Pescolanciano, Capracotta e Agnone. Questi monti la
dividono anche dai territori d'Abruzzo, lungo i passaggi che da un lato la
coordinano verso i massicci superbi che contengono le acque di San Vincenzo (e lì
la terra di Scapoli e dei centri abitati che conservano la memoria benedettina
di due grandi civiltà monasteriali sta a confermare la religiosità più
preziosa di questo territorio), e dall'altro la indirizzano a Pozzilli verso la
terra di Canneto e San Donato di Val Comino. La strada della Valle la unisce a
Venafro che, attraverso l'olio salubre della sua zolla, la lega alla Campania Felix,
lungo le porte Monteroduni e Macchia. Castel Romano e Cutone da un lato, fino a
Miranda, e poi Pesche dall'altro, ne sono a guardia, rendendola punto nevralgico
del traffico obbligato verso Castelpetroso. Qui i venti caldi del Tirreno
giungono lambendo Pettoranello e vengono fermati da quelli freddi dei Balcani. Lì
Isernia lascia il testimone a Boiano facendo quindi da tramite fra i Sanniti
della terra d'Abruzzo, quelli della Campania Felix, quelli dei monti
dell'Alto Sannio e quelli di un Matese scarno e aspro, che dai rivoli del
Biferno scioglie le sue nevi verso il mare. Qui Cantalupo, Roccamandolfi, Gallo
e Letino risuonano di tragedie e di canti antichi, che sanno di sangue e di
nenie e che si placano lungo i due versanti della catena montuosa tifernina,
riversando a Isernia la sua storia millenaria di drammi e memoriali attraverso
Sant'Agapito e Pettoranello. E ritorna così il rapporto Matese-Isernia, e nel
rapporto, dolce e amaro, sta la storia incommensurabile di questa città e del
territorio, che una volontà provvidenziale le ha consegnato con il compito di
preservarlo dalle brutture della storia e di incanalarlo lungo la dirittura
ragionale della natura e dell'uomo.
Onorato Bucci - Professore dell' Università degli Studi del
Molise e della Pontificia Università Lateranense
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