Mario Cavaliere
SOMMARIO

Spesso ci chiediamo il perché delle cose, e sovente i nostri pensieri, quelli più reconditi, vengono fuori in tutta la loro spaventosa contraddizione. A ciascuno di noi capita, a volte, di spingersi oltre la stretta realtà del vivere quotidiano e sfiorare l'idea di un mondo immobile e dominabile, ma pochi hanno il coraggio e la passione per mantenere questo stato lungo l'intero arco della propria esistenza.
Quando si tenta di darsi delle risposte, non c'è forza che possa tenere a freno gli umori e le circostanze del momento. E allora che fare? Dove vagare alla ricerca della vera spiritualità? La risposta è scritta nel cuore della gente, quella umile e perseverante che mai cederebbe un tratto del proprio io.
Ostinazione per cercare la verità sotto forma di libertà.
Questa, l'intima essenza di Mario Cavaliere uomo, e la sua arte non è che il tentativo di ottenere risposte dal mondo interiore per lui anima della vita.
E della sua vita, Mario, ha disposto sempre in assoluta indipendenza, non venendo mai meno ai propri principi, pur nella sofferenza che questo gli comportava (la solitudine, gli stenti, e in ultimo il male fisico). E' sempre rimasto coerente con se stesso, lasciando inalterata quella spigolosa e affascinante personalità pienamente accettata solo dai suoi pochi veri amici.
Mario Cavaliere, un uomo capace di "dominare" la vita - per quanto ciò possa sembrare impossibile - affrontandone in piena coscienza le pieghe più profonde e dolorose, capace di amare in maniera incondizionata, di dare "corpo e cuore" ai suoi sentimenti, ma determinato a non accettare mai alcun compromesso.

Maurizio Cavaliere

Sculture in Legno

La Biografia
Mario Cavaliere nasce a Boiano nel 1936 da Giuseppe e Felicia Amatuzio.
Secondo di tre figli maschi, trascorre un'infanzia serena, mettendo in evidenza una forte personalità. Ben presto emergono in lui quelle caratteristiche che diventeranno sempre più prepotentemente il filo conduttore della sua vita: esperienze a trecentosessanta gradi, insofferenza e passione; una personalità tanto forte che lo porterà a vivere intensamente ogni momento della sua esistenza.
La giovinezza vissuta a contatto con la natura ne influenza il comportamento e lo spinge ad approfondire le tematiche relative ad un mondo che lui amerà sempre più profondamente.
Permeato di cultura classica, cultore delle tradizioni molisane, naturalista antesignano, amico della gente semplice e critico talvolta spietato del mondo sofisticato e formalista, rifiuta ogni schematismo ed ogni forma di compromesso assumendo spesso posizioni di assoluta intransigenza.
Conduce i primi studi con serietà e scrupolo, ma crescendo si allontana sempre più dall'impegno statico arrivando perfino ad abbandonare la scuola mentre frequenta il Liceo Classico Fascitelli di Isernia.
In questa fase della sua vita, l'arte è ancora in uno stadio embrionale; tra i suoi amori figura lo sport attivo che lo vede cimentarsi in varie discipline, soprattutto atletica leggera e calcio, in cui ottiene buoni risultati.
Dopo il servizio militare, riprende gli studi conseguendo con ottimi voti la licenza liceale.
Profondo conoscitore dell'arte moderna, comincia a frequentare con sempre maggiore continuità gli ambienti artistici di Napoli dove si iscrive alla facoltà di Architettura. Ma la sua crescente insoddisfazione lo spinge a scegliere come sede universitaria Firenze, città più consona al mondo che ambisce avvicinare, scelta che condizionerà in maniera definitiva la sua arte e la sua vita.
Inizia la produzione dipingendo e mostrando subito una predilezione per Amedeo Modigliani e Umberto Boccioni.
Studio
Calco in gesso

Da quest'ultimo, Mario trae spunto per sviluppare quel dinamismo plastico fondato sull'impressionismo che "dà la sensazione dell'oggetto piuttosto che la rappresentazione dell'oggetto stesso" . E' da ciò che nascerà quella peculiare impronta romantico simbolista che costituirà in seguito il motivo portante della sua produzione.
Nella città gigliata si appassiona alla pittura, ma dedica attenzione anche alla scultura del legno. Conosce Susan Sledge, giovane americana che di lì a qualche mese diventerà

Studi sulla fauna molisana

sua moglie.Susan è per lui una persona speciale che lo affascina oltre che per la bellezza, per i modi raffinati e per la buona cultura.Susan è per lui una persona speciale che lo affascina oltre che per la bellezza, per i modi raffinati e per la buona cultura. Ella si rivela per l'artista una figura di grande importanza, fonte di ispirazione e di studio; numerosi i dipinti e le sculture che la rappresenteranno.

Si sposano a Boiano nel 1967; l'unione fra i due appare quanto mai felice. Presto, però, il rapporto comincia ad incrinarsi poiché Mario vede la compagna troppo diversa da lui, con esperienze di vita delle quali è estremamente geloso. Susan, invece, apprezza la sua natura di artista, lo spirito caustico, il mondo in cui vive, la famiglia che ha alle spalle. I mesi che seguono al matrimonio sono pieni di problemi, di incomprensioni e di incertezze per il futuro. Susan deve terminare i suoi studi in America e i due pertanto decidono di stabilirsi negli Stati Uniti. Vivono alcuni anni a San Francisco e in altre località della costa occidentale. In America Mario vive l'esperienza dura dell'emigrato, lavorando in una fonderia. Le lettere che scrive ai fratelli evidenziano in modo inquietante il disagio e la difficoltà di crearsi uno spazio in una terra che lui sente di non amare.
Tornato finalmente in Italia, si stabilisce con la moglie a Bologna dove Susan, laureata in Patologia e Restauro del Libro, viene assunta presso la biblioteca americana. Mario invece si iscrive di nuovo alla facoltà di Architettura, intenzionato, questa volta, a portare a termine gli studi. Per mesi fa la spola fra Bologna e Firenze dove frequenta le lezioni, ma la vita stressante e disordinata logora sia il rapporto con la moglie sia il suo spirito.
Alla fine di una lunga e sofferta crisi, i due decidono di lasciarsi.
Susan torna in America, e nonostante un suo tentativo di riallacciare il legame, il rapporto si chiude definitivamente.
Mario, Susan e la nipote Roberta
Mario però non riesce a dimenticare (e mai ci riuscirà) il suo grande amore e spesso cerca nell'alcool l'antidoto per alleviare la struggente malinconia che lo pervade.
Inizia uno dei momenti più duri della sua vita; tronca con l'università e rientra a Boiano dove, tuttavia, stenta a trovare un equilibrio esistenziale. Ristabilisce un vecchio rapporto che aveva già avuto anni addietro con Maria Pia, una delle poche persone che, in quel periodo, riesce a comprenderne le frustrazioni. Ma la prematura morte della donna, dovuta ad un male incurabile, acuisce in Mario quel senso di tristezza e solitudine che lo assillerà ancora per lunghi mesi.
Il dolore affiora e si manifesta in quasi tutte le opere realizzate in questo periodo. L'artista produce una serie di studi, molti dei quali raffiguranti la madre, scomparsa nel 1971.
Questa ulteriore prova lo porta a sospendere quasi del tutto l'attività; entra in un profondo stato di depressione che riesce a superare, solo grazie agli amici e all'affetto dei familiari. Si avvicina ancor più alla natura e agli animali; trascorre intere giornate nei boschi del Matese dove il suo spirito riprende vigore e da questo travaglio viene fuori l'artista. Ricomincia a scolpire trovando nel lavoro il mezzo per accettare una realtà che diventa sempre meno soffocante e al tempo stesso fonte di ispirazione.
Nel dicembre del 1972, dopo mesi di intenso lavoro, viene inaugurato a Boiano il portale laterale dell'antica chiesa di Sant'Erasmo. La porta era stata chiusa a causa dei danni subiti durante l'ultima guerra. I quattro pannelli decorativi scolpiti su noce raffigurano San Martino, Sant'Erasmo, Sant'Egidio e Santa Rita. L'opera, che dà all'autore grande soddisfazione, lo propone all'attenzione di pubblico e critici.
Durante un soggiorno a Pescasseroli dove era stata allestita una mostra delle sue opere, nasce l'idea della raccolta "la Fauna Molisana": circa 120 pannelli in terracotta riproducenti gli animali dei boschi del Matese.
Alcuni pannelli della raccolta "Fauna Molisana"
La serie, di notevole pregio, è stata spesso utilizzata per mostre didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado.
Nonostante le richieste, però, l'artista si rifiuta di vendere le formelle: le ritiene troppo importanti per smembrarne l'assieme.
Più in là nel tempo, consentirà la riproduzione in argento solo di alcuni pannelli.
Nello stesso periodo, grazie all'influenza ed alla disponibilità di alcuni religiosi, come don Antonio Nuzzi, don Pasquale Pizzardi, don Giovanni Russo, e soprattutto padre Giannicola Jacobacci e padre Vittorio Scardera del Convento Santissima Trinità di Sepino, Mario si accosta gradualmente all'arte sacra. E', questa, la fase di maggiore creatività: realizza in legno ed in pietra lavori che tappezzano molte chiese del Molise. Il convento della Santissima Trinità di Sepino costituisce una vera mostra permanente delle sue opere. Vi si trovano, infatti, due confessionali in noce finemente cesellati e circa 30 tavole in legno dove sono scolpiti i Fioretti di San Francesco.
Realizza alcuni interessanti lavori per la Chiesa Madre di Duronia. Di notevole pregio un basamento in legno riproducente da un lato la facciata della chiesa e dall'altro Gesù che sale al Calvario; restaura, inoltre, con molta cura, le statue di San Rocco e Santa Filomena.
Successivamente si cimenta anche con il bronzo, e nascono due opere di ottima fattura, il San Francesco che arreda il chiostro del Convento di Sepino e la "Pacchiana" di Boiano.
In questo periodo Mario lavora con una certa continuità e sembra aver raggiunto finalmente quell'equilibrio artistico cui ambiva da sempre.
Organizza mostre, allaccia rapporti con gli emigranti e nel 1986 si reca a Montreal in Canada dove, per merito di Gianni Colacci, l'amico di sempre, stipula il contratto per la realizzazione di un monumento in bronzo intitolato all'Emigrante. Tornato a Boiano lavora senza tregua per la realizzazione dell'opera. Nonostante le difficoltà incontrate durante la fase di fusione, la statua viene portata a termine e installata nella zona vecchia di Larino nell'estate '87.
Da più parti arrivano commissioni per altri monumenti. Fra quelli più significativi, tre lavori in pietra dalle dimensioni notevoli, uno per il Comune di Forchia (BN) alto circa tre metri e raffigurante l'episodio delle "forche caudine", un altro per il Comune di Spinete (CB) in ricordo dei caduti in guerra, un terzo per Campitello Matese - commissionatogli da Carlo Muccilli - in occasione della festa degli Alpini.
La ritrovata serenità gli permette di guardarsi intorno e dedicarsi allo studio dei centri storici di vari paesi molisani, che, secondo lui, con i tratturi, dovrebbero assumere un ruolo strategicamente importante nell'economia del Molise.
Con l'amico Goffredo Del Pinto approfondisce anche gli studi sulla ricerca archeologica.
Nel frattempo non abbandona la pittura e realizza diversi dipinti che regala o vende per poche manciate di lire così come è nel suo stile.
Spesso si reca a Marina di Pietrasanta perché affascinato dagli splendidi marmi e perché un suo estimatore, responsabile di una cava, gli consente di studiarne a fondo le possibilità di lavorazione.
Nel 1986 muore il padre, e l'artista rimane a vivere da solo nella casa di via Corte Vecchia. Nel piccolo e grazioso giardino cura il pergolato, accudisce i suoi cani e trascorre intere giornate a scolpire.
Quando lavora non distingue la notte dal giorno; gli fanno compagnia il bicchiere di vino e la sigaretta sempre accesa.
Eppure Mario non è solo; mantiene i rapporti con il "vicinato" soprattutto con Sisetta, la persona che lo ha visto crescere e che, dopo la madre, gli è stata più cara. Sisetta lo segue con discrezione e lo "sorveglia" quasi quotidianamente con la scusa di portare il cibo ai cani.
Già da tempo è nata in Mario la passione per la cucina e nel giardino di casa spesso si riuniscono amici e familiari per gustare i suoi piatti esotici e tradizionali.
Mantiene contatti telefonici ed epistolari con diversi amici del periodo fiorentino, i quali di frequente lo chiamano o gli scrivono perché sentono in lui un vero amico, capace di forti sentimenti, e affetto disinteressato.
Sul finire degli anni 80, realizza una notevole quantità di sculture in legno e in argilla che sono oggetto di varie mostre.
Produce, inoltre, per la Clinica Villa Esther di Boiano, 14 formelle di terracotta raffiguranti la Via Crucis e scolpisce una bella crocifissione in legno.
Agli inizi degli anni 90 Mario torna a lavorare la pietra. Nasce così, dopo un lungo e paziente impegno, la fontana di Sant'Egidio; la piccola vasca dove scende l'acqua è ricoperta da un blocco in pietra i cui manici raffigurano una biscia e una vipera finemente modellate.
Nel 1993 realizza il "Monumento alla natura", un enorme masso da cui l'artista "tira fuori" sui vari lati un felino, il profilo di una donna, uno scoiattolo, e vi incide, sulla parte frontale, un verso del poeta boianese Fiore Velardo.
L'originale monumento è esposto a Boiano presso la sorgente del Biferno, in località "Pietre Cadute".
L'anno seguente produce due fra le opere più raffinate e plastiche: un olio su tela che con un gioco ricercato di colori propone un rapace aggressivo e inquietante che si confonde con il cielo, e un basamento in legno riproducente sui lati e sulla parte superiore i suoi soggetti preferiti: gli animali.
Il '95 rappresenta l'anno della sofferenza; mentre dedica attenzione a due lavori, una grossa scultura in mogano e un monumentale Padre Pio in bronzo per Benevento (commissionato da Dante D'Onofrio, persona legata a Mario da profondo affetto), avverte difficoltà fisiche che lo costringono ad interrompere l'attività.

Durante l'estate, una lieve ripresa; poi, a fine anno, gli eventi precipitano: il ricovero, l'intervento, ma il male lo stronca il 17 febbraio 1996.
La sua scomparsa coglie di sorpresa il paese, lasciando sgomente le persone a lui più vicine e tutti quelli che, prima ancora dell'artista, sentono di aver perso un uomo schietto e leale.
Con Mario se ne è andato un piccolo pezzo della storia di Boiano, una storia fatta di creatività e sregolatezza, di semplicità e passione.
Lascia oltre seicento opere a testimonianza della sua poliedricità e della sua capacità di cimentarsi con i vari tipi di materiali: pietra, marmo, cemento, bronzo, argilla e legno nella scultura; colori ad olio, acquerello e tempera nella pittura.
Nella sua carriera Mario Cavaliere ha esposto i suoi lavori in varie città italiane (Roma, Napoli, Firenze, Bologna, Padova, Milano, Marina di Pietrasanta, Campobasso, Pescasseroli, Benevento, Solopaca, Boiano) e in diverse nazioni europee ed extraeuropee (Canada, U.S.A., Germania, Francia, Svizzera, Belgio). Su molte riviste di settore sono stati scritti lusinghieri giudizi sulla sua arte, così come positivi apprezzamenti sono giunti dai critici che hanno visitato il suo studio e conosciuto le sue opere.
Questa pubblicazione viene proposta con l'essenzialità e la semplicità che erano nello stile di Mario pertanto non si dilunga su tanti particolari perché l'artista sosteneva che "non bisogna inquinare una scultura o un dipinto con troppe parole".

"Un animo e una vita sicuramente da bohémien, quelli di Mario Cavaliere, senza nessuna pretenziosità nell'affrontare e nel rappresentare i fatti della vita.
Uno spirito semplice, che accetta le cose terrene senza mai attaccarsi ad esse, e la cui ispirazione nasce con l'uscire di casa osservando il mondo che lo circonda, andando su per le montagne del nostro Matese.
A volte il suo estro è aspro e potente e riflette la vita di un uomo vissuto solitario, interamente dedito ad un preciso ideale artistico. Le figure di queste opere non sono mai calme, ma sempre in atteggiamenti di lotta, curve sotto un peso e agitate da forze superiori.
Classico esempio ne sono le raffigurazioni della maternità (da una forma ancestrale dell'uovo si sviluppa la vita), della carta da gioco, che altro
non è che un quadro di vita trascorsa, di posti che mai riuscirà a dimenticare (i grattacieli di New York, le carte fiorentine, le cattedrali molisane), delle mani, simboli di odio e amore, che accarezzano, ma nello stesso tempo stringono il piccolo passero.
Foto Studio mani e passero ( amore e possesso ).

La sua sensibilità per il non finito dà a tutte le sue raffigurazioni una forza suggestiva che, certamente, non potrebbe avere un corpo liscio e finito. Un narratore, quindi, Mario Cavaliere, di notevoli qualità, ma soprattutto un innamorato della materia, da quella classica, come la creta, il legno, la pietra, a quella moderna come il cemento e la plastica".
Video Giornale di Telemolise del 31 ottobre 1981 (C.Santella ).

" [ ... ] Mario Cavaliere è noto ai Boianesi, ma lo è ancora di più a quanti Boianesi non sono, che meglio e più di questi ultimi hanno saputo apprezzare la sua arte. Accanto all'uomo hanno saputo cogliere l'artista che è in lui. Perché Mario ha un temperamento schivo di "angelo decaduto" che si tiene lontano dal "sistema" e dal "potere" come se temesse che questi possano inquinare la sua arte, [ ... ] Ma Mario Cavaliere è un artista di più complessa tempra, di passione più intensa. Quanto di lui è sparso nel Molise e fuori lo attesta! E' un artista di una religiosità profonda - a tratti perfino pagana - proprio di chi ha osato guardare in sé senza tema di smarrirsi ".
da "Sannio Oggi" del maggio 1989 ( A.M. Di Nunzio )
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Mario Cavaliere: ovvero quando la composizione scultorea diventa spazio architettonico.

Una apparente contraddizione concettuale sembrerebbe caratterizzare la produzione del Cavaliere: un rifarsi a connotazioni e sostrati antichi, la cui carica semantica è trasferita con immediata lealtà nell'opera, applicandone anche le tecniche esecutive più sofisticate; ed una inesausta ricerca del realizzarsi del suo io, oggettivato in materiali assolutamente nuovi.
Non è la novità in sé che lo attrae ma la possibilità di realizzare con essa l'idea di fare arte ed in particolare archi-scultura.
In tutte le sue opere sono presenti e vivi i principi basilari della stereometria, che consentono al vero Artista di tirar fuori dal blocco l'unica immagine che vi è racchiusa, perché ne conosce l'intima essenza.
Né gli sono ignoti i cardini stechiometrici, traslati nel comporre, che costituiscono il fulcro della sua ricerca e della sua produzione. Ed è per queste motivazioni che il sistema costruttivo trilitico, cioè primordiale, originale e immutato diventa archi-scultura e ritratto.
Cavaliere quindi non si contraddice!
Con ogni materiale e con ogni tecnica crea opere il cui dimensionamento, la cui composizione, la scansione euritmica degli elementi, l'impostazione delle masse, lo sviluppo dei volumi e soprattutto la scelta accurata del plasmabile nonché la meticolosa progettazione, costituiscono più che una scultura, una vera e propria forma architettonica.
Io credo che Cavaliere, se avesse potuto, avrebbe " scolpito " e non " architettato " l'Acropoli.
Tanto è il suo amore per la linea pura tanta la conoscenza della tecnica e ancora di più la sua sete di realizzarsi messaggio di un passato, in cui crede, rinnovato dalla forza delle sue idee, da tramandare a tutti e non a pochi, quale "signa aeterna" della indiscussa presenza dell' "homo creator".


Amministrazione Provinciale Benevento
Dr. Filippo D'Onofrio
Architetto al Patrimonio Artistico

Intervista realizzata da Filippo Salvatore in occasione di un viaggio di Mario Cavaliere in Canada.
Pubblicata su " Il Cittadino Canadese " del 10 dicembre 1986

F.S.: Caro Cavaliere, spiegaci le ragioni per cui sei venuto in Canada.
M.C.: Sono venuto a presentare il bozzetto per il monumento all'emigrante ai dirigenti dell'Associazione di Larino che si è fatta promotrice dell'iniziativa. Sono stato scelto per realizzare la scultura che deve essere il simbolo della diaspora larinese e molisana in genere sparsa per il mondo. Ne sono molto fiero e spero che questo mio modesto contributo riuscirà ad inserirsi degnamente nella illustre tradizione artistica larinese che risale a tempi remoti, addirittura pre-romani. Basti pensare ai ruderi frentano-sannitici, oppure al magnifico portale romanico-gotico della cattedrale, divenuto monumento nazionale ed un punto di riferimento essenziale per qualsiasi artista che voglia restare fedele o riscoprire le proprie origini.
F.S.: Da tue opere viste a casa di amici comuni o da riproduzioni fotografiche delle tue opere principali ho potuto notare una costante interessantissima: una stilizzazione delle forme che si possono far risalire addirittura all'arte italico-sannitica o all'arte gotica duecentesca.
M.C.: Non ti sbagli. E' fortissimo in me l'interesse per l'arte scultorea sannitica che cerco di abbinare alle forme stilizzate, essenziali, dell'arte gotica medioevale e, addirittura, alla riscoperta delle forme aperte in scultura avvenute nel primo novecento ad opera di Umberto Boccioni e di Amedeo Modigliani. La pax romana, dopo le guerre sannitiche ha fatto scomparire quasi del tutto le tracce culturali dei nostri antenati: come tradizione e tracce di opere è rimasto soltanto qualcosa in pietra ad Agnone, ad Isernia, a Boiano, l'antica capitale del Sannio Pentro, ed a Larino, il capoluogo dei Sanniti Frentani. Come si spiega questo mio recupero delle radici? Dopo aver vissuto a Firenze sono diventato saturo di scultura ed arte rinascimentale ( ho abitato a piazza San Lorenzo ) e mi sono reso conto che dopo Donatello, Cellini, Michelangelo ed altri artisti manieristi non c'era più niente da fare. Si poteva continuare a scherzare sulle pietre, come ha fatto l'arte barocca, ma non si poteva innovare. Tornando al paese mi sono reso contodella ricchezza della tradizione locale e me ne sono così ispirato. Durante la mia permanenza in Toscana sono stato anche a Livorno ed ho cercato di assorbire l'essenzialità dello stile di Modigliani. E partendo da queste esperienze, ho cercato di percorrere una strada nuova, mia. E siccome l'acqua mia è quella del Biferno, sono tornato ad abbeverarmi alle fonti del mio fiume, sia simbolicamente che realmente. Proprio vicino casa mia, c'è infatti una polla d'acqua, una delle sorgenti principali del Biferno il fiume che sgorga, scorre e sfocia in terra molisana.
F.S.: Continuiamo il discorso sul tuo interesse per l'arte gotica e medioevale. Come lo spieghi? Oltre ad una questione di estetica, cosa ti spinge ad apprezzare quest'arte stilizzata?
M.C.: (grande risata ) Ecco, devi sapere che la mia dimora si trova ai piedi del Matese spesso ammantato di nebbia o di nubi. Quando fa bel tempo però mi si staglia davanti agli occhi, aprendo la finestra, la mole del castello medioevale fatto costruire dal re svevo Federico II, proprio a trecento metri in linea d'aria. Quelle forme appuntite verticali fanno parte del mio essere, come alcuni tratti del mio viso di ascendenza longobarda e germanica. Il gotico, quindi, è molto di più di un semplice richiamo estetico, è una eredità che sento scorrere nelle mie vene. Me ne sono reso conto in un periodo particolarmente difficile della mia vita. Per far fronte alla solitudine ho dovuto reinventare i miei modi di essere. Ed ho trovato, nella luce e nelle ombre, la giustificazione della mia vita nell'arte e nell'arte che contava veramente per me, la scultura.
F.S.: Perché le forme scultoree devono essere assolutamente essenziali per te?
M.C.: La linea elimina il contrasto tra luce ed ombra, anzi le definisce meglio senza frastornarle con buchi o rilievi. Questo per me è il massimo dell'espressione. Riallacciando il discorso a quanto si diceva prima su Modigliani, ho voluto e tentato di abbinare l'essenzialità della linea scultorea, rapportando così il disegno alla scultura.
F.S.: Parliamo ora dei tuoi lavori che si trovano al Convento Francescano di Sepino. Spiegami perché hai scelto San Francesco ed in particolare i " Fioretti " come materia da trattare.
M.C.: Sì, si, mi piace tanto parlare di San Francesco. A Sepino fino a qualche anno fa c'era al Convento un padre guardiano, che ora è morto, una persona meravigliosa, una mente enciclopedica, che ha voluto ricostruire il convento che era andato in rovina. Il convento è a metà strada tra la città romana di Altilia e Terra Vecchia, in bella posizione su una collina. Dunque questo padre mi ha invitato ad abbellire il convento restaurato esortandomi ad illustrare la vita di San Francesco. Quello che mi ha attratto del poverello di Assisi è che anche lui ha dovuto ricominciare da capo, riproporre l'essenzialità del messaggio cristiano. E nel rileggere i " Fioretti " ho riscoperto non solo la sua semplicità, ma il suo coraggio.
F.S.: Hai dunque illustrato la vita di frate Francesco.
M.C.: Appunto, ho fatto venti pannelli in legno tanti quanti sono i vari racconti. Ho poi fatto anche un busto del Santo e di Santa Chiara, oltre ad un Cristo, su quercia molisana.
F.S.: Cristo che richiama addirittura Cimabue.
M.C.: Certo, perché Cristo io non lo vedo come una entità statuaria, ma come un " povero Cristo ".
F.S.: Parliamo ora della mostra ecologica che hai fatto due anni fa.
M.C.: Si tratta di una raccolta di sculture in terracotta che illustrano la fauna molisana lungo il tratturo, ossia da Pescasseroli nel Parco Nazionale d'Abruzzo fino alla pianura pugliese, a Candela. In tutto sono ottanta animali che vanno dal camoscio all'orso, al cinghiale, alla lontra, alla volpe, al nibbio e così via. Questa mostra è stata esposta in vari Comuni del Molise, ma anche in altre regioni. Ultimamente è stata presentata a Padova.
F.S.: La tua religiosità, sinonimo di semplicità, l'amore sincero per la natura e per l'integrità delle forme e dei volumi, posseggono qualcosa di pagano .... C'è una dimensione pagana ineliminabile nella tua religiosità .....
M.C.: ..... certo, credo che l'artista conserva in sé qualcosa di pagano. Pensa a Botticelli. Dunque, in me coesistono diverse tendenze: quella sannitica, quella gotica e quella moderna, l'arte fatta di forme aperte. Il legame tra di loro è una forma di religiosità dove natura e divinità si fondono, come nella concezione buddista. Ho molto letto anche sulle filosofie orientali, quella indiana in particolare, ed ho praticato per un po' anche lo yoga.
F.S.: Si può addirittura arrivare a parlare di una concezione panteistica della vita nella tua arte, quindi.
M.C.: Come no! L'aggancio non è affatto gratuito. E' quanto ho detto al prete: "sono panteista" quando ho fatto il testimone ad un matrimonio e mi è stata chiesta la mia religione.
F.S.: ...si spiega...dal politeismo preromano, si passa all'equilibrio ecologico francescano, al panteismo con venature orientaleggianti...
M.C.: ...il fatto di aver lavorato per oltre quattro anni a Sepino, mi ha permesso di riflettere sul significato della eredità francescana. Ultimamente sono rimasto molto colpito dal tentativo fatto dal Papa ad Assisi per trovare un legame tra le varie religioni del mondo. Mi sono piaciuti in modo particolare gli indiani. Rifuggo dalla imposizione teologica del cattolicesimo, perché al paradiso preferisco l'Olimpo o al massimo l'Averno.
F.S.: Quali materiali usi nei tuoi lavori?
M.C.: Pietra e legno. In particolare la pietra bianca di Vinchiaturo, inalterabile alle intemperie, che adorna tanti portali di case nei nostri paesi. Si tratta di una pietra dura, ma non secca. Oppure, per monumenti più grandi, uso il piperino che viene dalla cava di Orvieto in Umbria. Il piperino è molto più morbido della pietra di Vinchiaturo ma resiste altrettanto bene al cattivo tempo o all'inquinamento ed agli ossidi.
F.S.: E che tipo di legno?
M.C.: Mi piace usare il ciliegio, che ha un colore bellissimo, carnicino. Evito di usare l'olivo, perché ha troppe venature; suggerisce troppo e con le sue forme distoglie dall'idea che si vuole incidervi sopra. Mi piace molto usare anche il pero, che non va confuso, come si dice nel nostro dialetto con il "perazzo" ossia il pero selvatico che non ha lo stesso colore roseo del pero.
F.S.: Come fai a distinguere il legno in modo tanto preciso?
M.C.: Come faccio? E' semplice: rimango fedele alla eredità famigliare contadina che vive secondo il ritmo delle stagioni in costante equilibrio con le forze della natura. Filosoficamente si riallaccia alla mia visione panteistica della cose. Vedo la divinità incarnata in ogni oggetto, in ogni pianta che mi circonda. Compito fondamentale per l'artista, secondo me, è mantenere un atteggiamento reverenziale nei confronti della natura. Dopo tutto da buon discendente sannita, non escludo il godimento pagano. Mi piace andare a caccia sul Matese ed assaporare la selvaggina. Sinceramente preferisco un vitello arrosto all'aperto tra i boschi che mi parlano, ad una fettina di pane ed un bicchiere di vino in sacrestia.

da " Come salvare i grandi Conventi vuoti " - 1983 -
di Amedeo Gravina
( riferito a Padre Giannicola Jacobacci )

[ ... ] Per nulla pago di aver punteggiato i tre piani del convento con centinaia di reperti della civiltà contadina e dell'archeologia sepinate e sannitica, il " genius loci " dell'ex collegio serafico ha pensato di tramandare la memoria dell'ottavo centenario francescano con una mostra permanente di sculture lignee ispirate al mondo dei Fioretti. Sono sedici composizioni a bassorilievo, scaglionate sulle pareti dei corridoi e delle sale di studio e di soggiorno del primo piano. Alle radici della magnifica collezione sacra vi è stata la sua volontà di operare sulla fantasia e sulla coscienza degli ospiti quasi quotidiani con forti stimolazioni di spiritualità francescana. Per un anno intero ha accaparrato la sgorbia di uno dei migliori scultori della regione molisana, Mario Cavaliere, al quale ha commissionato di scolpire su legno di manzonia i più significativi episodi dei Fioretti. L'autore, che ha studiato, lavorato ed esposto a Firenze, dove ha amoreggiato a lungo con le Porte del Paradiso del Ghiberti, ha realizzato un suo vecchio sogno in una narrazione articolata e continua. I pannelli sembrano provenire più dalle sponde dell'Arno, e proprio dalle vicinanze del famoso Battistero, anziché da Boiano, antica città italiota e romana, dove lo scultore vive, lavora e spedisce in tutte le direzioni dell'Italia e dell'estero, le sue sculture in legno, in pietra, in gesso e in ferro incastrato nel cemento.
Le formelle sono una serie di nicchiette rettangolari in cui l'estroso favolatore boianese ha rinchiuso una successione di visioni personali, espresse con simboli medioevali e rinascimentali. Delle gesta del libro non si è premurato tanto di riprodurre il racconto, quanto piuttosto il sentimento ingenuo e stravagante, la fantasia gioiosa e scatenata, la religiosità istintiva e giocosa. I racconti non sono a scena aperta, ma inscritti e circoscritti da un bordo sinuoso a rilievo che conferisce a ciascuno più intensa interiorità e più balzante plasticità. Le tavole scandiscono gli spazi dei corridoi e delle sale con la cadenza di lasse d'una narrazione epica, oppure di capitoli delle " legendae " che nel medioevo venivano proclamate nella salmodia corale.
Mario Cavaliere sembra abbia messo casa e bottega in convento, che pare voglia adottare come galleria personale e permanente, visto che ha disseminato le sue sculture un po' dovunque: due monumentali e scenografici confessionali in chiesa, due pannelli cesellati da orafo e
raffiguranti a mezzo busto San Francesco e Santa Chiara, un Crocifisso filiforme che incarna l' " exinanitio " paolina e il " farsi pusillo " francescano, tutti e tre nella sala dei convegni.
E' innegabile che la presenza di queste sculture, fortemente espressive nel loro arcaico misticismo e popolaresco plasticismo, gratifica la casa di quell'atmosfera conventuale che le nuove strutture in cemento armato le hanno defraudato. Per fortuna, nel cuore e tra le braccia del grande complesso, si allunga e si distende mirabilmente il chiostro cinquecentesco, che, con il suo magico anello di archi e di colonne, gira attorno ad una scacchiera fiorita di aiuole, e alla vasca con fontana zampillante, alle cui acque la danza dei pesci e delle api conferisce lo splendore d'una perla incastonata.
( Successivamente alla stesura di questo scritto, al centro del chiostro, è stata installata una statua in bronzo riproducente San Francesco e realizzata da Mario Cavaliere ).

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Tratto dall'omonimo libro, 1997 editore Lampo

Comunità Montana Matese