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GIUDITTA DI MOLISIO, contessa di Bojano: UNA DONNA CONTRO L'IMPERO: Con l’emanazione degli Editti di Capua nel 1220, Federico II riformò il sistema governativo del regno affidandone l’amministrazione a delegati statali con l’intento di limitare il potere ed i privilegi acquisiti dai conti e dai signori locali. Colpiti, per questo, nei propri interessi e vedendo condizionata la loro politica espansionistica, Giuditta di Molisio, contessa di Bojano, e suo marito Tommaso da Calano rifiutarono di recarsi a rendere omaggio a Federico in occasione della sua incoronazione.
Tale atto fu considerato un grave affronto alla persona dell’imperatore il quale ordinò alle sue truppe di assediare il castello di Roccamandolfi dove Tommaso, in previsione della ritorsione, si era rifugiato.
Ebbe, così, inizio il conflitto conosciuto meglio come “Guerra del Molise”, che durò dal 1221 al 1223.
In difesa della rocca e del castello di Bojano era rimasta la contessa Giuditta che, assediata dalle truppe imperiali, fu costretta alla resa. Tommaso, quindi, da Roccamandolfi si diresse verso Bojano mettendo in fuga gli imperiali e, incendiata e saccheggiata la città, trasferì il bottino nel castello di Civita Superiore, ancora presidiato dalla moglie.
Insieme tornarono nella fortezza di Roccamandolfi dove subirono un nuovo assedio da parte del comandante delle truppe imperiali Tommaso d’Aquino, conte di Acerra. Nottetempo Tommaso da Celano riuscì ad eludere l’assedio per recarsi ad Ovindoli a chiedere rinforzi alla sua famiglia d’origine lasciando, ancora una volta, Giuditta a fronteggiare gli attacchi delle truppe imperiali.
La contessa, però, fu obbligata a cedere all’assedio ed a trattare la resa con il conte di Acerra mettendo in evidenza tutta la sua abilità di oculata ed astuta mediatrice stipulando un accordo, nonostante la sconfitta, a lei decisamente favorevole. La trattativa, infatti, si concluse con l’accettazione dell’esilio del marito per un periodo di tre anni, a patto, però, di essere reintegrata a pieno titolo e senza soluzione di continuità nei suoi possedimenti, con l’unica eccezione per il castello di Bojano che l’imperatore volle riservare per se con l’intento di esercitare un migliore e più diretto controllo sul territorio, in conseguenza del programma introdotto con gli Editti di Capua, affidandolo alle cure di un castellano e di una guarnigione formata di dieci “sergentes”.
Le fonti, purtroppo, non chiariscono gli eventi successivi alla vicenda, tantomeno fanno riferimento alla nostra Giuditta. Sappiamo solo che nel 1229 la Contea fu assegnata a Corrado di Hoenloe e successivamente riassegnata a Ruggero II, figlio di Giuditta di Molise e Tommaso da Celano.
L’ultimo documento che fa menzione della contessa risale al 1269 quando, cioè, il conte Ruggero fu privato della città di Bojano “…Rogerius f. quond. Thomasii Comitis Celani ed Albe et Jodecte quond. Comitisse Molisii …”.
Le vicende che hanno accompagnato la Guerra del Molise, pur se conosciute soltanto in parte, tuttavia mettono in risalto il carattere di Giuditta a conferma che, nel periodo considerato, in realtà il ruolo della donna era determinante per la vita sociale ed economica della Contea.
Molti documenti dell’epoca relativi a Bojano, infatti, spesso sono riferiti ad atti in cui sono proprio le donne attrici principali di donazione o compravendite di beni, ponendole in uno stato paritetico rispetto all’altro sesso.
La figura di Giuditta, quindi, va considerata, in quest’area, come l’emblema più significativo della donna nel sec. XIII, non solo come titolare indiscussa di un’intera Contea, ma anche per aver difeso strenuamente gli interessi della sua famiglia in contrasto con la politica innovativa di Federico II attraverso una mediazione degna delle più abili e raffinate trame politiche.
f. 1) il castello di Civita di Bojano; f. 2) il castello di Roccamandolfi.

 

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