La rappresentazione de “I Mesi” viene introdotta a Cercepiccola alla fine del XIX secolo. I versi e le canzoni sono stati tramandati oralmente di generazione in generazione.  Le rappresentazioni  non hanno avuto mai cadenza regolare, e le fonti permettono un’esatta datazione solo a partire dal 1918. La manifestazione, che si svolge generalmente l’ultima domenica di carnevale, è una forma di drammatizzazione popolare, a cui partecipano in costume, in groppa ad asini e cavalli riccamente addobbati con coperte e pennacchi colorati, circa 32 personaggi, tutti rigorosamente di sesso maschile: 2 pulcinella, 2 cenciunari (straccioni), un presentatore, un direttore d’orchestra, un numero variabile di orchestrali (cavalcano asini), che solitamente raggiunge un massimo di 8; un nonno (il secolo), un padre (l’anno), 12 mesi e 4 stagioni. I costumi, per la maggior parte antichi, variano notevolmente tra i vari personaggi, ognuno dei quali rappresenta la vita ciclica della natura vista dal contadino. Il corpetto indossato solo da alcuni mesi è tutto addobbato d’oro e il suo peso varia da uno a due chilogrammi. La manifestazione inizia la mattina, con il raduno dei personaggi e la sfilata nel centro storico, per proseguire fino al pomeriggio con un numero variabile di repliche. Durante la rappresentazione, i cercepiccolesi offrono bevande e frittelle sia agli attori che agli spettatori e la sera si festeggia con canti popolari e balli.

 

GENNAIO

Io son Gennaio,
con una buona entratura;
sto in questione con i pecorai,
e a cacciar occhi con i loro padroni.
Loro col vento io col “riflusso”,
aret’ aret’ m’ magn’ l’arrust’.
E son Gennaio ancora,
cane delle creature,
non le fo campare un’ora,
e le mando in sepoltura.

FEBBRAIO

Ed io son Febbraio,
e febbre venga a chi Febbraio mi chiama.
Che fine debbono fare questi 28 giorni,
se all’orto mio c’è andata la secca?
Pregherò il mese di Marzo che mi presti quattro giorni,
vado io con la mia “baiocca”,
e vi farò vedere il mese di Febbraio come fiocca.

MARZO

Che ciel, che cielo grigio! Alta la neve è già.
Or si prepara un’altra nevicata: oh quando oh quando finirà!
Fa tanto freddo, fa tanto freddo: appena appena a respirar!
Ci vuol con questa bizza la tramontana; ci vuol un gran giudizio nel camminare.
Oh quando, oh quando finirà.

(Recita)
Verdi campi,
fiorite colline,
grigi rupi,
spelonche romite,
salutate quell’aure gradite che rimena l’amica stagione.
Più non s’ode,
nell’alta foresta,
la tempesta che i giorni percuote,
ma di canti e di armoniche note,
gode il giorno un dolcissimo suono.
Io sono Marzo,
con la mia zappetta,
mangio porri e zappo alla digiuna;
il pecoraio questo mese aspetta,
per gettar casacche e pelliccioni.
Ma non vi fidate della mia formetta,
perché faccio le volate della luna;
non vi fidate del mio sorrisetto,
perché vi farò venire il mal di petto.
Marzo sono io e pur non mi credete,
sincerità in me non troverete;
credetemi soltanto appena appena,
quando morto sarò io,
il ciel si rasserena?
Ci vorrebbe del miglior vino un barile,
per salutar con brindisi: l’Aprile.

 


APRILE

(Canto)
E’ pure Aprile il mese dei fiori.
Tutti ne godono il gradito profumo.
Cantano gli uccelli,
con dolce armonia:
Viva l’Aprile,
l’Aprile dei fior.

(Recita)
Forier di primavera,
il tuo sorriso aspetto,
il grato “cefaretto” che scherza tra l’erba e i fior.
Io sono Aprile col dolce dormire,
gli uccelli a cantare e gli alberi a fiorire.
Ogni uccello canta il suo versetto:
a te, Maggio,
dono questo ramaglietto.

 


MAGGIO

(Canto)
Non è la morte la fin dell’amore,
anche le tombe son templi d’amore.
Chiedi all’amante,
l’amante che muore.
Porgi ricordi e ghirlande di fiori.

(Recita)
Di mirabil vita aprimi l’ampio tuo sen…..
Là dove le mille forme dell’ignoto pensiero,
del vero conte il trepido affetto,
l’uomo contempla e ama.
Ecco l’alba, il tramonto, il folgorio,
ecco il soave trepidar della terra,
delle verzure,
mentre per i cieli vanno divini sguardi,
a scoter di testa,
seguendo il volo della bellezza vaga,
che non ha parole.
Io sono Maggio,
conte reale,
la mia corona è sparsa nella compagnia.
Filippo e Blasio furono i miei primi fiori,
ed io sono Maggio,
re dei signori.
Son Maggio ancora,
maggiore di tutti gli armenti,
anche le donne e gli asini,
fo stare allegramente.

 


GIUGNO

Cinta la frante d’aure spighe,
torna l’estate con vivo ardor.
Ed invita alle aspre e dure fatiche,
ed ai dolci premi l’agricoltore.
Io sono Giugno col carro rotto,
e rotta me l’han fatta la maggese.
Preghiamo Iddio che non piova in questo mese,
se nò perdiamo la gaggia con tutte le spese.

LUGLIO

Luglio mi chiamo,
pien di sudore,
sono la gioia dei mietitori.
Chi soffre il caldo nel mar si bagni,
chi soffre il caldo non mai si lagni.
Io sono Luglio,
con la mia varrecchia,
e mieto quando è piena la cicerchia.
Dentro una pignatta mi ci scarnecchio,
con la punta della falce alzo la coperchia,
e se ci trovo qualche donna vecchia,
le troncherò la testa con la mia sarrecchia.
E son Luglio ancora,
buon mietitore.
Signori miei,
non vi ammalate,
perché appresso porto il dottore.

AGOSTO

Rispettabilissimi signori,
prima di dirvi lo scopo della mia presenza,
permettete che qui mi presenti.
Io sono il famoso psichiatra-laringoiatra,
da tutti ben conosciuto.
La mia “fama” è enorme!
In un ramo richiamo la vostra attenzione,
poiché le malattie da me studiate sono numerose,
e lo dimostrano le mie innumerevoli lauree e medaglie,
conquistate ad honorem et ad bustarellam.
Ma la ristrettezza del tempo,
non mi permette di trattarle tutte,
come mia intenzione, e,
per non annoiarvi o per meglio dire,
per non scocciarvi,
mi limito a parlarvi di un male solo,
che senza dubbio è il più comune.
Ebbene, o signori miei,
chi di voi non ha mai sofferto il mal di pancia?
Tutti, vero?
Orbene voi non potete mai immaginare,
quale sia la causa di questo terribile male,
che si produce nel vostro canale di macinatoria.
La liquida, la solida, magnetica,
frenetica macinatoria,
della via dirigibilistica, missilistica, rotabile, automobilistica,
passa a quella ferrata e arrivando alla stazione di fermata,
battendo un pezzo contro l’altro,
provoca lo sfasciamento di questo materiale:
le terribili coliche!
I dolori di ventre!
Il sistema più conosciuto,
ed oltretutto il più efficace,
è quello di purgarvi,
o signori miei,
altrimenti la siringa ci pensa.
E pagate i vostri debiti,
clienti miei,
se no bestemmio il mondo e tutti i Dei.
Vi fece effetto o no quel sale inglese?
Certo che un buon purgante già l’avete preso.
Io sono Agosto,
medico reale,
e conosco bene anche la malattia delle donne,
e donde ne proviene:
loro tasto il polso,
loro osservo i reni,
ad esse ordino la mia medicina.
Se la mia medicina non fa operazione,
mi ci gioco tutta la mia ragione.
Se la mia medicina non fa effetto,
andate all’altro mondo,
che là vi aspettano.

SETTEMBRE

Io sono Settembre,
con i fichi mosci;
l’uva muscatella mo  s’ fnisc’,
preparo i tini per piazzarci il mosto,
e sogno vin frizzante e buon arrosto.
Sono la fine di una bella estate,
con le giornate tutte arroventate.
Per non farvi sorprendere dal gelo,
non guardate se ancora è sereno il cielo.
Di buona legna fate una catasta,
mettendone più di quel che basti;
cappotti e ombrelli tenete apparecchiati,
per essere ai primi freddi preparati.
Se poi paura avete dei malanni,
di pura lana preparate i panni,
e se pur con questo avrete un raffreddore,
fate ricorso al mio dottore.
Io son Settembre ch’ la fica moscia,
tutte  lu muscatjiell mo z’ fnisc’.
Se ci fosse qualche donna che patiss’ d’ paposcia,
j teng’ na cosa longa, chiatta e passa liscia.

OTTOBRE

Ecco l’Ottobre,
dalle montagne il mesto autunno fa capolino.
Addio sorriso delle campagne,
addio bel manto d’ogni giardino!
Io sono Ottobre,
buon vendemmiatore,
le mie cantine le ho riempite tutte:
una botte di vino buono,
una di vino grottesco,
e mò mi manca moglie bella e letto fresco.

NOVEMBRE

Novembre io sono:
tristi giornate!
Non piacciono più le scampagnate.
La campagna è tutto un impero,
prepara il pane per l’anno intero.
Io sion Novembre,
buon seminatore,
le mie maggesi le ho seminate tutte:
un po’ per me,
un po’ per gli uccelli,
e un po’ per voi, signori,
signorine e donne belle.

DICEMBRE

Gelido e bianco è della neve il velo,
e si distende sul volto di natura.
La quercia annosa che disfida i cieli,
l’abete al monte,
il salice alla pianura,
mesti e rappresi per l’acuto gelo,
paiono ombre su vaste sepolture.
Quale immobile silenzio!
Una dura sorte forse l’ha colpita,
e la natura è morta.
Io son Dicembre,
l’ultimo di tutti i mesi,
se qualcuno non volesse sottostare ai miei comandi,
pregherò il fratello Agosto che mi presti 4 giorni….
E sapete perché?
Per far morire le pecore con tutti gli abitanti.

 

Cercepiccola


Comunità Montana Matese
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