Il Molise non fu immune dal triste
fenomeno del brigantaggio, tuttavia nella nostra regione non
si formarono mai comitive di briganti numerose e agguerrite
come in altre zone del Meridione.
Si riporta di seguito una circolare del Consigliere incaricato
del Dicastero dell'Interno riguardante la sicurezza delle strade;
circolare che Nicola de Luca, Governatore del Molise, trasmise
agli Intendenti, ai Sindaci, ai Capitani dei carabinieri e ai
Comandanti delle Guardie Nazionali della provincia di Campobasso
in data 30 gennaio 1861:
"Il Consigliere incaricato del Dicastero dell'Interno in
data 26 cadente mese (gennaio 1861) mi dirige (è Luca
che scrive) un foglio così concepito: Il commercio dei
grani nell'interno della provincia soffre impedimento e spese
assai gravi per la poco sicurezza delle strade; ed è
perciò d'interesse pubblico il trovare modo come poter
agevolare e rendere sicuri ad un tempo i trasporti di tali derrate.
Ond'è che giova alleviare i consumatori; nelle presenti
penurie dell'aumento di prezzo che deriva dalle spese pel sicuro
trasporto del genere.
Epperò La prego Signor Governatore di disporre all'arrivo
della presente che chiunque abbia bisogno di scorta per trasportare
grano, granone, orzo ed avena da un mercato ad un altro, o da
un paese ad un altro, in tutto l'ambito territoriale delle Province
né faccia richiesta a Lei, agli Intendenti ed ai sindaci
dei luoghi da dove debbano partire le derrate.
Rimane con ciò a stretta responsabilità di Lei,
e dei nominati funzionari, il procuratore che immediatamente
si ponesse a disposizione del richiedente quella forza militare
che potrà giudicarsi più sufficiente ad assicurare
il trasporto del genere, visto la condizione dei luoghi da doversi
percorrere, e consultare prudentemente le esigenze del pubblico
servizio
."
Data l'economia di questo lavoro, ci occuperemo brevemente delle
bande di briganti che infestarono il Matese dal 1860 al 1863.
I briganti più famosi furono Cicchino e Cimino di Roccamandolfi
e Nunzio di Paola di Macchiagodena.
Cicchino e Cimino con i loro accoliti terrorizzarono la zona
matesina che va da Roccamandolfi a Guardiaregia seminando terrore
e morte fra quelle popolazioni che talvolta erano costrette,
con la forza, a diventare loro complici.
Bojano, dove erano acquartierate le truppe per la repressione
del brigantaggio, non fu mai attaccata dalla banda dei capibriganti
di Roccamandolfi.
"La notte dal tre al quattro agosto 1861 la banda di Cicchino
e Cimino entra in San Polo Matese.
Colà facevano parte del potere locale parecchi membri
della famiglia Rogati, oriunda di Oratino: Vincenzo Rogati era
capitano della Guardia Nazionale, il di lui suocero Vitantonio
Capra, sindaco, e il fratello Giovanni Rogati, arciprete, nutriva
anche idee di libertà.
Il sindaco credette conveniente di fare arrestare molti manutengoli
e ladruncoli, e per poco non riuscì a prendere nella
rete parecchi briganti allorché di notte si recavano
nell'abitato per visitare le rispettive famiglie.
La plebe attraversata in tal modo nei suoi tristi disegni si
riversò addirittura sul Matese, aumentarono di numero
i manutengoli e nei briganti si accentuò l'ira e il furore,
crebbe l'avidità di predare, eterno obiettivo del volgo
di tutti i tempi e di tutti i luoghi, una lotta perciò
d'insidie e di tranello sorse tra autorità e marmaglia.
La famiglia Rogati armò vecchi e valenti tiratori, e
le spie prive di armi e con la prospettiva di severi castighi
cercarono il bandolo, che doveva liberarle da quel cerchio di
ferro.
Il guardaboschi Donato Capra, parente dei Rogati, era uno dei
più vigili custodi dell'ordine, e interrogato un giorno
che cosa si facesse in campagna egli, che non conosceva la paura
né pure di nome, rispose che se i birboni congiuravano
gli onesti s'erano riuniti, e che i briganti non sarebbero giammai
penetrati in paese: Una spia era a poca distanza, la notte fu
riferita l'ardita risposta, ed il Capra incontratosi la mattina
del tre agosto 1861 con Cecchino tentò di fuggire, ma
raggiunto fu legato ad un faggio ed ucciso.
Arrivata la banda in San Polo Matese andò di filato al
quartiere della guardia, disarmò i pochi cittadini che
vi erano riuniti, s'impadronì della bandiera, e circuì
l'abitazione del sindaco e quella dell'arciprete e del capitano
Rogati. Questi atterrito cercò scampo sul tetto, ma fu
legato e lasciato in custodia di due manigoldi e la medesima
sorte toccò al fratello e al suocero. Le case furono
derubate; e i tre malcapitati tribuni dell'ordine furono condotti
per l'abitato e con canti di osanna a re Francesco II.
Un tale con la bandiera precedeva la comitiva, e si scalmanava
perché si fosse inflitta una pena esemplare, poiché
il perdono -a suo dire- sarebbe stato segno di manifesta viltà,
ed infervorato sempre più nella sua requisitoria di Giuda
novello, mentre i tre prigionieri vengono spesso feriti da colpi
di baionetta, giunti in piazza vuole che la crudeltà
trionfi ad ogni costo, e quanto alcune fucilate cupe e prolungate
si ripercossero in fondo alla via, spaventate domandarono ad
un brigante: ed ora? Li hanno uccisi, rispose colui con cinismo
impareggiabile, e partì. I parenti ebbero appena il tempo
di prendere cura dei cadaveri, giacché un ordine del
Cecchino prescriveva il loro immediato allontanamento dal paese
con comminatoria di morte ai tardivi. I superstiti di casa Rogati
si rifugiarono in Bojano, e quando la Guardia Nazionale di Colà
marciò verso San Polo Matese, in prossimità di
quell'abitato fu veduto in un campo di granone un uomo, che
a seguito delle ripetute intimazioni non volle fermarsi e creduto
brigante fu ucciso. Quel disgraziato era un certo Gaetano Barbato,
parente dei Rogati che pazzo per la paura fuggiva (V. Berlingieri:
"Il brigantaggio in Roccamandolfi" -Isernia- 1891).
Le scorrerie di questa banda, che annoverava anche nei giorni
successivi, infatti: "Il tredici agosto la banda Cecchino
e Cimino si reca nel comune di Cantalupo nel Sannio, vi perpetra
i soliti furti, uccide il giovine Mancini, e brucia parte dei
documenti esistenti nella cancelleria della Pretura" (V.
Berlingieri: il Brigantaggio in Roccamandolfi -Isernia- 1891).
La notte tra il tredici e quattordici agosto i briganti, assetati
di vendetta e spinti da un irrefrenabile desiderio di saccheggio,
assalgono Roccamandolfi.
"Il 14 agosto 1861 resterà scritto a caratteri neri
nella cronaca nefasta di Roccamandolfi, perché fu giorno
di sangue, di vendette, di tradimenti, di viltà abominevoli"
(V. Berlingieri: ibidem). Per alcuni giorni la banda restò
padrona del paese, bene accolta da manutengoli e amici che facevano
a gara nell'ospitare i briganti, alcuni roccolani si mostravano
così disponibili nei loro confronti per timore di essere
danneggiati o uccisi.
Il 26 agosto Cimino, durante una lite, fu ucciso dagli stessi
briganti.
"Verso la fine di agosto del 1861 da Bojano si avviano
di notte alla volta di Roccamandolfi una compagnia di linea
comandata dal Capitano La Crou e un distaccamento di guardia
mobile con a capo Antonio Tedeschi: erano stati adibiti come
guide Attanasio De Filippis e don Muzio D'Andrea. Giunta la
truppa in prossimità di quest'abitato una delle guide
scorge un uomo in attitudine di sentinella, ed al motto: chi
va là? Segue un colpo di fucile, al quale risponde De
Filippis Attanasio.
Questi aveva proposto al La Crou di dividere i soldati in plotoni
ed entrare nell'abitato, occupando prima gli sbocchi, giacché
i briganti sorpresi da una forza indeterminata avrebbero tentato
la fuga verso i monti vicini, dove avrebbero trovato sicura
morte.
Quel progetto eccellente, che avrebbe effettuato senza dubbio
il massacro di quella gente perduta, non si volle accettare,
ed alla detonazione delle fucilate il tamburo batte l'assalto,
ed i briganti fuggono illesi. Il potere militare stima indispensabile
mettere le mani addosso ai manutengoli, ed esegue oltre cento
arresti
..
Dal paese la truppa muove verso il bosco per dare la caccia
ai briganti, che messi in agguato avrebbero massacrato i soldati,
se il comandante, avvisato in tempo opportuno da un esperto
dei luoghi, non avesse ben diretto la marcia per Isernia, evitando
i punti pericolosi.
La Guardia Nazionale di Roccamandolfi che fino al quattordici
agosto aveva funzionato più di nome che di fatto, dopo
quel giorno memorabile più non esisteva. Tra tanto caos
però sorge un manipolo di venti uomini
.ed essi
diventarono i vigili dell'ordine, i custodi della sicurtà.
Nonostante le insidie dei manutengoli (
) la notte si dividono
in drappelli, montano la sentinella, pattugliano, perlustrano
i monti e i boschi, e la banda già scemata di numero,
poiché i disertori borbonici dopo l'editto di amnistia
erano rimpatriati (
) non riuscì più a fare
fascio d'armi in piazza: l'ambiente saturo di delitti e ritemprato
nei continui dolori non rendeva più possibili le efferatezze
del quattordici agosto.
Cicchino Domenicangelo ferito al braccio destro si ricovera
in una caverna in contrada Macchitelle, tra Roccamandolfi e
Castelpetroso sperando in una pronta guarigione (V. Berlingieri:
ibidem).
Un contadino scoprì il rifugio del brigante e subito
avvertì la Guardia Nazionale che catturarono il Cicchino;
il capobanda venne condotto a Roccamandolfi: era il cinque settembre
1861.
"Interrogato circa il perché delle vittime del quattordici
di agosto e quanti omicidi avesse perpetrati, risponde con freddezza:
il popolo (leggi manutengoli) additava ed io eseguivo, in cinque
mesi quaranta persone sono finite per mia mano". (Berlingieri:
ibidem). Intanto da Bojano giunse a Roccamandolfi il tenente
Pistoia con una compagnia di soldati e prima di giustiziare,
seduta stante, il malfattore, ammonì i presenti sulle
tristi conseguenze della vita dei briganti che ha come epilogo
la fucilazione. Sei colpi di fucile posero fine alla vita scellerata
del Cicchino.